martedì 24 aprile 2012

Iniziato

Autore: Margherita Micali

Rivolgendosi ad un bambino che ha appena preso in prestito un libro

M: Ma come, sei già alla fine?

Y: No. Son già all’inizio.

D’accordo, c’è la curiosità, la fascinazione delle immagini, dei colori, di qualche rima. C’è lo stimolo suscitato ed eccitato dagli animatori alla lettura. Allora il prestito di un libro può diventare a volte una pratica emozionante, un po’ come comprarsi un cd dopo un concerto.

Un momento affine a una trafila tipica dell’adulto e di cui si può compiacersi: mettetevi in fila davanti al bancone del prestito, consegnate la tessera, dichiarate i vostri dati, prendete in responsabile consegna il tomo in questione. Poi, dopo quel momento, tutti gli impulsi tornano a sparpagliarsi in un ampio ventaglio di possibilità, di effetti molteplici tipici della fase successiva:chi il libro lo leggerà e lo amerà e lo rileggerà, chi lo userà per paralume, chi lo confonderà tra i calzini, chi lo sbatterà in fronte al fratello, non senza presumerne la validità educativa. Ma raramente, nel momento della scelta e della prima esplorazione, si trova la lucidità così energica e disarmante di Y, una consapevolezza che scompiglia gli afflati mistici del clima post-animazione, strattona le liane dell’incanto trasognato verso il baratro – non privo di fascino- della realtà. Emergono così, automatiche, spontanee considerazioni. Essere già alla fine di un libro può significare tante cose: una lettura spedita, più o meno ap

profondita e attenta, spesso connotata da una verve esibizionistica (io l’ho già finito = io sono un lettore saputo ed esperto. E ve lo ripeto fino allo sfinimento anche se non è vero). Ma ammettere di essere “già all’inizio” è qualcosa di più, qualcosa che valica i confini del senso tangibile, che in poche parole dice tutto: dice che la lettura è sforzo, è impresa; dice che a volte è diffidenza e che le pagine devono praticare l’arte della seduzione; dice che lasciarsi andare è fatica e che abbandonarsi è fiducia; una fiducia che un libro deve sapersi, a volte, guadagnare. Dichiarare di essere “già all’inizio” è un atto puro, un’adesione confidenziale che rinuncia allo scetticismo riconoscendo e sconfiggendo la potenza del dubbio.

Questo è il regno delle emozioni e delle sensazioni che precede l’inizio della lettura: la terra brulicante e semi-inesplorata del “prima”, dove il “già” rappresenta l’incipit maturo di un percorso iniziatico. Solo dopo che siamo “già” all’inizio si è pronti ed attrezzati per il viaggio. E ci si può sorprendere, sul cammino, ad essere gustosamente “ancora alla fine”.

venerdì 20 aprile 2012

Storie di aghi di pino. O: piccoli laboratori da fare in casa

Autore: Andrea Gasparri

Successe che me ne stavo ben rilassato in un pomeriggio pasquale in quel sonnacchioso stato post prandiale, oziando e leggiucchiando il giornale quando, puntuale come la fame, arriva la vocina perentoria dei miei tre nipoti "zio, zio, che facciamo?" Uu uch che colpo basso. Bon. La risposta sarebbe salita spontanea alla bocca: "Andate un pó a ruzzare da soli col pallone". E invece, con la stanchezza di Anchise, mi son alzato e ho cominciato a guardarmi intorno.

Siamo in un giardinetto invaso dai pini. Intorno, solo aghi di pino, qualche altra pianta della macchia mediterranea, sassi, stecchi, fiorellini spontanei, cortecce.

Vado in cucina, prendo dei piatti di plastica e imbastisco una caccia al tesoro per i due più grandi, mentre alla piccola di 2 anni propongo foglio e pennarelli.

Cominciamo. “Chi mi porta per primo sei aghi di pino secchi!”. Corsa, ricerca, domande, speculazione, confronto e aghi nel piatto. “Chi mi porta prima un sasso tondo”. Stesso processo. Domande: “Questo è tondo?”. “Questo è ovale?”. I due hanno

rispettivamente 6 e 4 anni. Si contaminano a vicenda. Sicuramente quello di 6 ha maggior proprietà di linguaggio, fa la prima e ha nozioni di geometria. La piccola di due anni disegna e osserva.

“Chi mi porta prima un fiorellino giallo!”. Quello di 4 è più scattante e rapido. Arriva il fiore e allora alziamo

la difficoltà: “Chi mi porta sei foglie secche di pitosforo!”. Eh eh. C’è da chiedersi quale sia la pianta di pi… pifosoforo? “Zio è questo il pisosforo?” Son

tutti tentavi di nominare, rinominare, anche spregiare, per arrivare, a passi sciolti, a intercettare la realtà.

Ed è così che anche le sei foglie secche di pitosforo finiscono nel piatto. La piccola di due anni tappa un pennarello e osserva.

Adesso i piatti sono pieni. Ci sediamo al tavolo. Un foglio di carta bianco è lo scenario dove si svolgerà la seconda parte del gioco. “Allora signori, vi chiedo di creare un personaggio con le cose che avete trovato e messo nei vostri piatti.

Non si useranno né colle, né forbici, né tanto meno colori”.

“Zio, zio ma cosa vuol dire che dobbiamo fare un personaggio?”

“Già ragazzi, cosa vuol dire fare un personaggio? Secondo voi come si può fare?”.


“Forse che si possono mettere gli aghi per fare i capelli?”

“Mmmm sì perché no? Dai, proviamo!

Allora su quei fogli scialbati si spalmano attenzione e concentrazione e le mani piccole, abili e delicate si mettono al lavoro. I sassi vengono presi, soppesati, messi sul piano; poi spostati, accomodati, girati, osservati…

Gli aghi di pino sono rette incommensurabili interrotte da nulla, escono dai bordi dell’A4 e si fanno gambe, braccia, capelli, contorno.

Le scaglie delle pigne sono occhi, denti, orecchie, o non necessariamente qualcosa. L’aria è intrisa di pensieri, riflessioni, dubbi annodati e dubbi sciolti, fischi di merli, timidi grilli dei primi caldi.

Mentre la piccola di due anni armeggia e osserva.


“Zio io ho finito”. Ma è così tanto per dire, già che “adesso faccio il naso”. Dall’annuncio alla realtà ci son ancora una manciata di minuti. Tempi essenziali.

Ecco, adesso si possono battezzare i nostri personaggi. Onomaturgia in azione: Sambisumo, Moremo…


La piccola osserva e interviene “Il mio si chiama Sambisuro”. Meraviglia. L’inatteso mi stordisce sempre un po’. Piacevolmente. Il disegno che la piccola stava facendo ha

lasciato il posto a una composizione di pennarelli ordinati con una cura e attenzione.È il suo personaggio, con il quale rivendica il diritto di partecipare all’attività dei fratelli più grandi. Occhio alle disparità.

“Facciamo due foto?”

Ecco fatto. Però voglio proporre un passo ulteriore per il gioco inventato lì su due piedi, prima di tornare alla mia gislonga.

“Facciamo che adesso i nostri personaggi ritornano a far parte del mondo da cui sono venuti? Proviamo a rimettere le cose dove le abbiamo incontrate!”.

Seconda magia. Gli aghi ritornano sotto il pino. I sassi nel vialetto. Il fiore giallo nel vaso. I pennarelli nell’astuccio, etc etc.

Davvero un’ora e venti puó durare tanto poco?

Poi però la gislonga non me l’hanno concessa, ed anzi è partita una sfida ai rigori con il pallone di cuoio.