Vivo meno di tappo
Incontro di sabato 15 febbraio alla BiblioteCanova
Quanto
dura la vita di un tappo di bottiglia? E quella di un sacchetto di plastica?
Possibile che la lattina di bibita che ho appena bevuto duri 100 anni? E io
l’ho tenuta in mano meno di due minuti? Allora forse è il caso di farla
lavorare un pó di più…
Libri
di riferimento:
F. Michel, L’ecologia a piccoli passi,
Motta Junior
Quando ci siamo trovati intorno al tavolo per progettare
l’incontro per la BiblioteCanova siamo stati i primi a meravigliarci delle
informazioni che via via trovavamo su libri e web riguardo alla potenza vitale
delle cose che buttiamo via.
Non v’è stato un momento di pausa, per noi nati negli anni settanta, da parte di quella potenza psichica che ci induceva a considerare gli involucri che avvolgevano i prodotti che compravamo solo ed esclusivamente come rifiuti. Scartati, espulsi, gettati, reietti, dimenticati, mandati al macero, li abbiamo acquistati, pagati e poi ce ne siamo sbarazzati nel tempo necessario a ordinare la dispensa. Siamo stati educati così. Avulsi dal postulato lavoiseriano: nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma. E giù sacchettate di monnezza.
Oggi invece, dopo le riflessioni esplose a partire dagli anni novanta, dopo l’affermazione, anche politica in certi casi, di una nuova sensibilità ecologica, ecco sfociare un fiume di informazioni da ogni dove. Si fa a gara a riutilizzare, a trasformare, anche gli oggetti più impensabili, in monili, decorazioni, utensili. Non v’è ufficio di designer che non sfoggi una solida scrivania in europallet. Non vi è casa di artista o architetto che non riservi un angolo in bella vista al vecchio telefono a disco, magari ridipinto, magari di arancione.
Non v’è stato un momento di pausa, per noi nati negli anni settanta, da parte di quella potenza psichica che ci induceva a considerare gli involucri che avvolgevano i prodotti che compravamo solo ed esclusivamente come rifiuti. Scartati, espulsi, gettati, reietti, dimenticati, mandati al macero, li abbiamo acquistati, pagati e poi ce ne siamo sbarazzati nel tempo necessario a ordinare la dispensa. Siamo stati educati così. Avulsi dal postulato lavoiseriano: nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma. E giù sacchettate di monnezza.
Oggi invece, dopo le riflessioni esplose a partire dagli anni novanta, dopo l’affermazione, anche politica in certi casi, di una nuova sensibilità ecologica, ecco sfociare un fiume di informazioni da ogni dove. Si fa a gara a riutilizzare, a trasformare, anche gli oggetti più impensabili, in monili, decorazioni, utensili. Non v’è ufficio di designer che non sfoggi una solida scrivania in europallet. Non vi è casa di artista o architetto che non riservi un angolo in bella vista al vecchio telefono a disco, magari ridipinto, magari di arancione.

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