giovedì 28 maggio 2015

Un Libro per crescere - percorso formativo per i genitori sulla lettura ad alta voce



di Beatrice Bartolozzi e Valentina Kuhfus


Avevamo voglia di raccontarci. Il presentarci tra noi ha richiesto molto più tempo del previsto: i genitori bramavano di spiegare che lettori sono, che lettori erano da bambini, desideravano parlarci di chi ha condiviso storie con loro e come lo ha fatto. E, da ultimo, avevano piacere di dire come leggono i loro bambini, che rapporto hanno con i libri e le storie. Ci hanno fatto richieste, ci hanno detto chiaramente quali risposte stessero cercando, quali aspetti dell’approccio al libro da parte dei loro figli avevano bisogno di approfondire e chiarire.
- Non vuole leggere il libro ma sfogliarlo e raccontare da solo
- Ci suggerisce le domande da fargli
- Non sopporta la figura del lupo cattivo
- Vuole le fiabe, ma io vorrei leggergli “Le favole di Federico” di Lionni che hanno una morale

È in base a quanto raccolto da questa lunga presentazione che abbiamo modulato gli incontri successivi, non per fornire risposte dirette ma per cercare suggerimenti nella nostra esperienza di addetti ai lavori, nei testi di scrittori, psicologi e scrittori di saggi sulla fiaba, letteratura per l’infanzia e lettura ad alta voce.

UNA STORIA VALE L’ALTRA?

No, una storia non vale l’altra: ogni momento ha la sua storia, ogni storia ha un suo momento, ci cattura quando contiene qualcosa che sta succedendo anche a noi, quando i protagonisti ci fanno vedere la luce in fondo al bosco e possiamo credere che la troveremo anche noi. Quando ci accarezza attraverso la voce dei nostri cari e ci fa il solletico se abbiamo bisogno di ridere, se invece che affrontare il lupo nel bosco preferiamo prenderlo un po’ in giro, se preferiamo il paradosso al dramma…
Abbiamo riscoperto che il linguaggio dei bambini è vicino a quello della metafora, e per scacciare i cattivi pensieri possiamo soffiarli via insieme alle nuvole di un temporale, che parlare ai bambini è ricordare e imparare un nuovo linguaggio, è lasciarci travolgere dal loro entusiasmo  quando leggiamo Tararì tararera e stupirci, perché loro per fortuna sanno apprezzare quello che noi a volte abbiamo dimenticato.

OGNI ETÀ È UNA NUOVA AVVENTURA, colma di nuove storie, ce n’è una per ogni situazione. Abbiamo capito che tipo di letture è opportuno introdurre nelle diverse età, quali sentimenti si fanno spazio nei piccini ogni anno che passa.
- la narrazione fa parte della vita di tutti i giorni, anche se non ce ne rendiamo conto, e il libro può essere un ottimo compagno, un momento di decompressione da vivere con i figli al rientro dal lavoro, prima della cena, un buon amico prima di dormire. Quasi tutti i genitori ci hanno confidato che leggono ai figli prima che si addormentino, è un passaggio delicato, quello che ci porta al sonno.

La cosa più sensata da fare è rispettare i bisogni del bambino, i suoi tempi, i suoi gusti, le sue attitudini, non forzarlo al nostro sentire ma accettare il suo, coccolarlo, comprenderlo, assecondarlo e condurlo. Provare, fare tentativi sapendo che potrà capitare di dover tornare indietro, aggirare le questioni e affrontarle poi nuovamente in contesti e stati d’animo differenti.

PENSIERO CREATIVO
Abbiamo introdotto i genitori alla conoscenza di autori /artisti come Bruno Munari, che è datato, ma non ancora superato! E non sempre è conosciuto.

Perché?

Perché siamo convinti che a volte gli occhi di certi artisti sappiano guardare più lontano e perché Munari, Rodari e altri grandi aiutano a guardare oltre gli stereotipi, ci invitano a scombinare tutto per rimetterlo insieme e creare così il nostro pensiero… e se il nostro pensiero è quello di colorare il cielo di rosso lo possiamo fare, perché c’è sempre un motivo, e se vogliamo scrivere una storia in cui la terra sta in alto e il cielo in basso ben venga. Perché in un sasso possiamo vedere un’isola, e in una nuvola un cavallo. Direte voi: ancora con questi giochi? Li faceva anche Leonardo da Vinci con le macchie di muffa sui vecchi muri, appunto Leonardo da Vinci. 

Quindi buttare all’aria e guardare le cose dalle loro diverse angolazioni aiuta a crescere in modo creativo.

Mutuiamo da Munari la scelta di lasciar sperimentare i bambini senza dare loro schemi troppo precostituiti;  i suoi  Prelibri, piccoli, maneggevoli, realizzati con materiali diversi nascondono preziose sorprese all’interno e nascono senza testo, senza illustrazioni, proprio per lasciare ai bambini piccoli la possibilità di inventare una loro storia partendo da un’esplorazione sensoriale.  Non bisogna mai dimenticare che con i libri ci rivolgiamo ai bambini e bisogna imparare a riconoscerli anche come curiosi divoratori di storie; per questo abbiamo presentato Il prestigiatore verde, un libro sottile con tanti bauli e tante storie… un gioco che ci sorprende sempre. Perché dentro ogni baule ogni volta potrebbe esserci di tutto ma è rassicurante ritrovare sempre il gallo e la sveglia con i baffi di Alfonso. 

Ed eccoci giunti al tema caldo della Ripetizione, delle storie che hanno una specie di ritornello, che si reitera e che piacciono ai bambini perché si appropriano della storia e del linguaggio. Il ripetere dà certezza fino a una certa età, poi è noioso!

I genitori hanno apprezzato queste brecce d’autore, (non solo Munari…) in un’editoria vasta e che a volte propone anche oggetti commerciali.

Abbiamo dedicato del tempo anche alle illustrazioni, essenziali nella tenera età: il loro ruolo, la loro importanza, la loro capacità di sostituirsi al testo, di arricchirlo, di darne un’interpretazione. E abbiamo rovesciato le nostre valigie piene di libri per mostrare tutte queste forme di arte e come una stessa storia possa essere diversamente rappresentata dagli illustratori.

Alla fine di questo bel percorso anche noi abbiamo “raccolto” tanto: la gratificazione dei ringraziamenti, dei complimenti e degli applausi spontanei ci ha fatto capire che abbiamo colpito nel segno; le esperienze dei genitori, le lacrime di chi si è commosso davanti a certe suggestioni, le considerazioni costruttive e sempre assai partecipate non fanno altro che dare benzina alla passione che mettiamo in questo mestiere e cementano la convinzione che studiare e formarsi e fare esperienza e darsi da fare per avere materiale concreto ha ancora, immensamente, senso.








lunedì 9 marzo 2015

Poetini

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I secondi incontri di un percorso di tre sono dei veri e propri diamanti grezzi. Dopo aver sovraesposto i pargoli ad un eccesso di rime li sguinzagliamo sul foglio bianco dove c’è scritto solo il primo verso endecasillabo dato come abbrivio. Il resto è tutta farina del loro sacco. E che farina… e che sacco… Vediamo se mi spiego.

Quando facevo l’operaio e piegavo la gobba sotto il peso di massi che poi sistemavamo in ripidi muri a secco, tornavo a casa con le mani screpolate, le gote rubizze per via del sole e dello sforzo e con i muscoli della schiena indolenziti. Il mio compagno di ventura, sentendomi lamentare diceva: “Non ti preoccupare, è il lavoro che entra”. Stessa cosa mi succedeva quando da piccino decisi di imparare a suonare la chitarra. I primi tempi avevo i polpastrelli in fiamme. Ecco anche nei percorsi che facciamo nelle scuole con i ragazzi succede la stessa cosa. C’è un momento di dolore sottile in cui si percepisce chiaramente che il lavoro sta entrando. È tutto un trottare di meningi che in certi momenti si trasforma in un murmure dall’andirivieni di risacca. 
Oggi i nostri poeti in erba sono chiamati a comporre un’ottava. I vincoli sono pochi, ma ferrei e precisi. Ultimo accento forte del verso sulla decima sillaba, rispettare lo schema di una sestina in rima alternata e una rima baciata ABABABCC. Ancora siamo nella fase di esercitazione, quindi il primo verso glielo diamo noi
Ecco cosa hanno tirato fuori i poetini:

S’io fossi foco arderei il mondo
S’io fossi aria asciugherei i panni
S’io fossi iPad cambierei sfondo
S’io fossi acqua un’invecchierei negli anni
S’io fossi terra girerei in tondo
S’io fossi legno mi chiamerei Gianni
Ma dal momento che non sono niente
Resto un comune essere vivente.

Quale debole siepe fu l’amore
Che il vento un giorno ha portato via
In un mattino pieno di colore
Mi è passata anche la malattia
E mi batteva tanto forte il cuore
Che m’è scomparsa anche l’antipatia
L’amore se ne andò via a Torino
E lo rincorsi là come un cretino

Se l’orso nero avesse detto al bruno
Vatti a buttare giù nel grande fosso
Ne resterebbe di orsi solo uno
Ma l’orso bruno era molto scosso
E l’orso bruno preferì il digiuno
Il nero gli tirò un sasso addosso
E l’orso bruno andò all’ospedale
Co un ringhio minaccioso da cinghiale

Per la città correva un uomo nero
Con un mantello tutto rosso e bianco
Che è andato a sbatter forte contro a un pero
E s’è accasciato mogio su di un fianco
Ma si è rialzato bello, figo e fiero
E poi è andato a dormire stanco
Ma si svegliò a mangiar le pere cotte
Perché gli venne fame a mezzanotte



I poeti lavorano di notte
Vedono le mamme andare a letto
Hanno le scarpe grigie e tutte rotte
E si dipingono di blu il petto
E se si guardano si danno botte
Di carne poi ne comprano un pezzetto
E se non trovano una bella rima
Riusano sempre quella di prima

lunedì 2 marzo 2015

Prime Rime



di Andrea Gasparri
Il cielo è terso,
È dentro un verso.
Mi sono perso.

A cosa servono i poeti? Perché ci scortichiamo tanto a scrivere versi in rima o versi sciolti? Perché, beoti, osserviamo il mondo fintanto che una scintilla di chiaraluce ci invade e giù, l’è tutto un rotolare di sfere intinte dalla gravità d’inchiostri blu e neri: zampette di formica su fogli bianchi.
A cosa servono i poeti? Non lo so. Risposta concisa e lapidaria. Però so questo, che così come nessun cartone animato riesce a resiste a dire il finale di “Ammazza la vecchia”, pochissimi tra gli implumi ragazzi delle medie riescono a restare indifferenti davanti al richiamo della rima.
Noi ovviamente ci mettiamo del nostro, e senza alcun pudore o reverenza per i grandi maestri, per le autorità letterarie, diamo in pasto a questo manipolo di creature fagocitanti, i versi e le rime più auliche della nostra letteratura… o anche semplici endecasillabi rubati alla vita comune. Il risultato? Sempre e comunque esilarante ed eccovi qua alcuni esempi.
Prima però dateci un minuto per fare una piccola premessa e spiegarvi due regolette base.
Quelle qui di seguito sono rime che i ragazzi e le ragazze hanno inventato nel secondo incontro in classe. La settimana prima avevamo affrontato con loro le molteplici soluzioni che Rima Baciata e Rima Alternata possono fornirci a seconda della lunghezza dei versi, del ritmo, della situazione che useremo per la nostra poesia.
In questo secondo incontro invece ci siamo concentrati sull’endecasillabo, ovviamente senza perdere di vista i due tipi di rima con i quali avevamo giocato la volta precedente.
Regole. Una classe di prima media, 27 alunni. Li dividiamo in cinque gruppi. Ad ogni gruppo consegniamo un foglio A4 sul quale è stampato in grassetto un verso endecasillabo. Sta a loro comporre un’ottava il cui schema è il seguente: sei versi in rima alternata e due in rima baciata. Ovviamente tutti endecasillabi
Risultato

I
S’io fossi foco arderei il mondo
Poi lo dipingerei tutto di rosso
E nel frattempo fare il girotondo.
Ma sono sprofondato dentro a un fosso
E sono andato giù a fondo a fondo
All’improvviso ho visto un grosso osso
Un cane scalmanato me lo ruba
E disperato suono il bassotuba.

II
Quale debole siepe fu l’amore
Se fosse la poesia di una scrittrice
E che nel cuore avea tanto colore
Voleva scrivere con la vernice
Ebbe per sé davvero poche ore
Perché era un gran lavoratrice
Ma dipingendo sempre troppo in fretta
Gli si sporcava tutta la maglietta


III
I poeti lavorano di notte
Di giorno dormono sognando stelle
Ma i lor pensieri spesso fanno a botte
Compongono soltanto poesie belle
Gli piace divorar le pere cotte
Montano i cavalli con le selle
Vorrebbero però dormire in pace
Nel mare insieme ai Bronzi di Riace

IV
Per la città correva un uomo nero
Ma dopo un po’ la scarpa gli andò via
Rimase appeso proprio in cima a un pero
E poi lui cadde in testa alla su zia
L’impatto non fu proprio il più leggero
Vi sto dicendo forse una bugia?
La zia cadde a terra tramortita
S’accorse d’aver perso la partita.

V
Se l’orso nero avesse detto al bruno
Potremmo colorarci un po’ di giallo
Potremmo diventare insiem tutt’uno
E così quel maligno pappagallo
Non sarebbe più stato inopportuno
Sarebbe ritornato in portogallo
Avrebbe conosciuto una gallina
Scambiandola però per ballerina


Continua....

venerdì 16 gennaio 2015

Dove osano i libri


Martedì 13 gennaio era una bella giornata. Una di quelle giornata che questo inverno barlaccio ci sta regalando a scapito dei maglioni comprati in Irlanda nel 94. In barba al cappottone di lana cotta regalato dalla zia Berta 10 natali fa. In tasca agli scarponcelli col peloncino e ai calzettoni di lana d’alpaca della fiera peruviana dell’inverno scorso… Sarà il caso di rifare il guardaroba?
Polèsse… Però oggi sono solo. Margherita è in sede a combattere corpo a corpo con un'orda di mail arretrate, contro burocrazie cubitali e, come se non bastasse, c'ha pure un incontro alle scolemedie. E allora oggi inforco la mia bici retrò, uscita di fresco dal biciclettaio e m’avventuro per le vie del borgo. Solicino, brezza, cuffie e rock a squarciagola, questo martedì ho due animazioni in due scuole agli antipodi: Isolotto vs San Salvi. Per fortuna ho anche un’ora di tempo tra l’una e l’altra ed è per questo che decido di scatenare i polpacci sulla dura catena del rapporto più piccolo. Quindici libri nello zaino mi fanno un baffo. Son uso al mestiere io. M’hanno svezzato i giardinieri con i quali ho lavorato, a me. E quando arrivo all’istituto Marco Polo son più carico di Ironman e più caldo dell’Omofoco. Ho già quattro caffè in circolo nelle vene e sono appena le nove di mattina. Prendo il quinto e m’avvio in classe. I ragazzi mica se l’aspettano un’ora di libri a voce. I loro visi sono un misto tra: O-icchè-vole-questo e lo Yuppi-si-salta-un’ora-d’italiano. Presento, gioco, racconto e leggo e l’ora fugge a gambe levate accompagnata dal: Profeeee ma non può restare anche all’ora dopo ci s’ha inglese?
No. 
Ciao.

Rinserro i libri, agguanto il cappottone e sguiscio fulmineo giù per le scale. Devo arrivare in tempo per il secondo incontro al Saffi daquell’altrapartedellacittà.
E allora aggredisco Via san Bartolo a Cintoia come un’ogiva e mi butto in Via Canova, entro in via Torcicoda mi precipito verso le Cascine, sfreccio per la ciclabile del Lungarno dei Pioppi, m’inietto tra due tramvie che s’incrociano sul ponte all’altezza di Paolo Uccello, sfrutto l’inerzia della discesina e alimento la velocità con due dozzine di pedalate ben assestate. Irrido il traffico ebete del Ponte alla Vittoria e son bell’al Lungarno Corsini… L’ambasciata americana mi registrata come ovni mentre penno sulla ciclabile transitata dai romantici che si scattano foto con sfondo arno d’argento e chiesa del Cestello. Libero il capello dall’andino cappello che il Ponte Vecchio è già alle mie spalle. Non vi racconto balle, la mia due ruote è un dardo nell’atmosfera. Non perdo la cera e di lena ohibò ho già passato San Niccolò, coi piedi ben saldi sui pedali. Alzo il busto e accolgo il vento spettinante. E cosa più importante ho ancora una quarantina di minuti abbondante per arrivare senza fiatone a destinazione. Rilasso i quadricipiti e mi metto in modilatà Ah bella la mi Firenze. È tempo di sterzare a sinistra per via del Campofiore. Calore uguale colore e gote a pomello arrivo sfidando il traffico all’imbocco del cavalcavia Lungo l’Affrico. M’alzo sui pedali. Con un carapace di libri non ho rivali. Scendo più lesto dei clacson invidiosi schiacciati da esosi monoconduttori incazzati e, forte di laterali sentieri, imbocco senza freno via Tito Speri. Ormai è fatta. Piazza San Salvi mi s’apre davanti… Pochi istanti e con il cuore a riparo dall’infarto ho già bell’e che mangiato anche via Andrea del Sarto. Il Saffi al cancello rallenta il mio moto. Scendo, allucchetto, m’aggiusto e arrivo all’uscio. Ho ancora trenta minuti alla campana d’inizio. La custode mi vede le lancio un indizio: Salve sono qui per Libernauta. Prego s’accomodi. Bevo la mia acqua e mi beo dell’impresa. Ho solo un pensiero… la sgorata di sudore che sento sulla schiena… Vabbuò suona la campana esco dall’angolo saltellando e mi porto al centro del quadrato gonfio di libri, sole e vento. Trattengo un sorriso a stento e riparto di slancio: salve eccoci a libernauta…

Andrea Gasparri