lunedì 9 marzo 2015

Poetini

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I secondi incontri di un percorso di tre sono dei veri e propri diamanti grezzi. Dopo aver sovraesposto i pargoli ad un eccesso di rime li sguinzagliamo sul foglio bianco dove c’è scritto solo il primo verso endecasillabo dato come abbrivio. Il resto è tutta farina del loro sacco. E che farina… e che sacco… Vediamo se mi spiego.

Quando facevo l’operaio e piegavo la gobba sotto il peso di massi che poi sistemavamo in ripidi muri a secco, tornavo a casa con le mani screpolate, le gote rubizze per via del sole e dello sforzo e con i muscoli della schiena indolenziti. Il mio compagno di ventura, sentendomi lamentare diceva: “Non ti preoccupare, è il lavoro che entra”. Stessa cosa mi succedeva quando da piccino decisi di imparare a suonare la chitarra. I primi tempi avevo i polpastrelli in fiamme. Ecco anche nei percorsi che facciamo nelle scuole con i ragazzi succede la stessa cosa. C’è un momento di dolore sottile in cui si percepisce chiaramente che il lavoro sta entrando. È tutto un trottare di meningi che in certi momenti si trasforma in un murmure dall’andirivieni di risacca. 
Oggi i nostri poeti in erba sono chiamati a comporre un’ottava. I vincoli sono pochi, ma ferrei e precisi. Ultimo accento forte del verso sulla decima sillaba, rispettare lo schema di una sestina in rima alternata e una rima baciata ABABABCC. Ancora siamo nella fase di esercitazione, quindi il primo verso glielo diamo noi
Ecco cosa hanno tirato fuori i poetini:

S’io fossi foco arderei il mondo
S’io fossi aria asciugherei i panni
S’io fossi iPad cambierei sfondo
S’io fossi acqua un’invecchierei negli anni
S’io fossi terra girerei in tondo
S’io fossi legno mi chiamerei Gianni
Ma dal momento che non sono niente
Resto un comune essere vivente.

Quale debole siepe fu l’amore
Che il vento un giorno ha portato via
In un mattino pieno di colore
Mi è passata anche la malattia
E mi batteva tanto forte il cuore
Che m’è scomparsa anche l’antipatia
L’amore se ne andò via a Torino
E lo rincorsi là come un cretino

Se l’orso nero avesse detto al bruno
Vatti a buttare giù nel grande fosso
Ne resterebbe di orsi solo uno
Ma l’orso bruno era molto scosso
E l’orso bruno preferì il digiuno
Il nero gli tirò un sasso addosso
E l’orso bruno andò all’ospedale
Co un ringhio minaccioso da cinghiale

Per la città correva un uomo nero
Con un mantello tutto rosso e bianco
Che è andato a sbatter forte contro a un pero
E s’è accasciato mogio su di un fianco
Ma si è rialzato bello, figo e fiero
E poi è andato a dormire stanco
Ma si svegliò a mangiar le pere cotte
Perché gli venne fame a mezzanotte



I poeti lavorano di notte
Vedono le mamme andare a letto
Hanno le scarpe grigie e tutte rotte
E si dipingono di blu il petto
E se si guardano si danno botte
Di carne poi ne comprano un pezzetto
E se non trovano una bella rima
Riusano sempre quella di prima

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