giovedì 9 agosto 2007

Vado al massimo

Antefatto
Se non avete viaggiato, se non avete tormentato i vostri piedi fino a farli chiedere pietà, se non avete odorato gli afrori indigeni della miseria o il caldo soffocante di un pulmanino sgangherato zeppo di gente fino a scoppiare, se non avete sofferto le pene dell’inferno per raggiungere una meta, qualunque fosse, allora chiudete questa pagina e andatevene altrove. Qui si narrano fatti cose e accadimenti che non vi riguardano.

Ida
Se hai poco devi fare con quello che hai. Gran parte della filosofia di vita del sud America si riduce a quest’assunto lapidario. Un furgoncino omologato 13 posti porta venti persone su per il Cañon dal cerro di Humanga arriva fino al cerro di Huanta. I due distretti fanno parte della regione di Ayacucho, una zona montagnosa nella serra peruviana dove, con affascinate alternanza, si intrecciano il clima secco e torrido della sierra con le fertili e rigogliose piane che costeggiano il fiume. Due i colori principali che sfumano. Il giallo della parte alta, tendente all’ocra, dove le piantagioni di tapa (fico d’india) si fanno estese e ininterrotte fino a diventare rosse, dove i sedimenti ferrosi tradiscono l’abbondanza di materie prime e miniere. Il verde, quello abbacinate delle coltivazioni di insalate, quello azzurrognolo dell’acqua del rio e quello della speranza. Quando hai poco, dicevo, devi fare con quello che hai. E’ allora che maturi lo stato d’animo per cui se qualcosa deve andare male, andrà male la prossima volta. Il nostro furgoncino conosciuto come combi, ci porta spediti curva dopo curva in direzione di Huanta. Silenziosi passeggeri quechua dormicchiano sballottati da una carrettera che ha il fondo stradale dalla FiPiLi a metà agosto. Io prego molto, perché le ruote lisce del veicolo non cedano proprio oggi che è il primo giorno di corso. Non starebbe bene arrivare morti all’incontro di presentazione. A qualche chilometro dalla meta salgono sparuti e indifferenti altri quechua raccatati dal chofer. Siamo 23 ben pigiati dentro questa scatola polverosa. A un chilometro dall’arrivo il guidatore si ferma e ci chiede di pagare il pasaje. Si usa così.
Io lo fisso negli occhi, il mio sguardo è tagliente e inequivocabile, il suo è quello di un ubriaco assetato del sorso successivo. Il mio sguardo dice “amico non ci riprovare a guidare così o giuro che ti faccio la pelle”. Il suo dice “3 soles cincuenta”. Pago. Scendiamo.

Corso
Io e Chiara ci facciamo un chilometro sotto il sole rovente della sierra andina. Vi siete mai chiesti perché i quechua hanno il viso arroventato e screpolato a 3000 metri di altitudine? Caspita se picchia lo stellone. I miei labbri sono un fuoco. Le mie spalle sono appese a uno zaino pieno di libri e materiale vario, le mie braccia circondano la scatola con le cartelline, le penne, i lapiz, i quaderni per 25 persone. Chiara si trascina i cinque chili di portatile. Despacio gringos.
Arriviamo al centro juvenil de la Casa de la Memoria. Buenos dias…

Vuelta
“Gracias por haber venido a esto primer dia de presentación”. Salutiamo i corsisti che sono le 5 e trenta del pomeriggio. La nostra coordinatrice peruviana, più attratta dalla nostra giaculatoria che dai compiti che le avevamo pregato di assolvere decide di rimandare a poi la ricerca del video proiettore per la lezione seguente. Usciamo quindi diligenti in fila indiana (andina) alla ricerca del data show. Altri chilometri a piedi. Sono già dodici ore che siamo desti e attivi ma le nostre occhiaie non fanno presa sulla cortese attendente che: “ahime’ il data show serve alla ditta che sta affrontando una settimana di capacitación!”. Ripartiamo alla volta di un’altra officina che però pensiamo bene di chiamare per telefono: nessuno contesta. “Che ore sono Gespo?”- “le sei e mezzo”. Siamo vicini al’equatore, le giornate durano esattamente dodici ore. Alle sei di mattina lo stellone sorge, alle sei di sera lo stellone tramonta. Gli Inca lo adoravano. Apollinea divinità che li ha resi dominatori su tutte le civiltà del Perù, dell’Equador, fino quasi alla Colombia… Almeno per settant’anni. Poi è arrivato Pizarro e addio Atahualpa. Ma adesso noi siamo al buio. Con la triste prospettiva di fare al reves una strada che di notte diventa luogo di caccia per i ladrones. L’ultima combi è partita alle sei. Dovremo affidarci a una impresa di viaggio ovvero un pulman gigante diretto a Lima che ferma anche a Huamnaga. Se hai poco devi fare con quello che hai. L’impresa parte alle sette e mezzo peruviane. Preventiviamo già mezz’ora di ritardo. Prima salgono quelli con il biglietto prenotato. Poi noi Gli ultimi arrivati. Prima di noi: quechua diretti a Vitarte, sacchi di patate, ortaggi, agnelli legati per le zampe. Il pulman e’ full. Ci dicono. Viaggeremo in piedi. Bene partiamo. L’ora passa velocemente. Parlando e ridendo di un’avventura che racconteremo ai nipoti. Solo non auguro a nessuno, nemmeno al mio peggior nemico, di subire il supplizio di un’ora di musica popolare santiagueña. Un misto di sonorità tra i canti cinesi di propaganda maoista e la tammurriata.

Hasta siempre.
Gespo

2 commenti:

bea ha detto...

una ola, o un grido di incoraggiamento sorgono spontanei, dopo aver letto le vostre peripezie!anche un pò di amarezza per non poterle condividere...
(ecco la vena patetica...)

la parte in cui raccontate dei colori ... del fare con quel che c'è ha il sapore delle storie di Marcos.

ciao,
bea

lapresidente ha detto...

ho come la sensazione che al vostro ritorno sarete avanti a noi anni luce..in qualità di capo supremo decido che d'ora in avanti tutti gli associati devono partire e esperienziare...ho sete di nuovi aggiornamenti! forza!