Martedì 13 gennaio era una bella giornata. Una di quelle
giornata che questo inverno barlaccio ci sta regalando a scapito dei maglioni
comprati in Irlanda nel 94. In barba al cappottone di lana cotta regalato dalla
zia Berta 10 natali fa. In tasca agli scarponcelli col peloncino e ai
calzettoni di lana d’alpaca della fiera peruviana dell’inverno scorso… Sarà il
caso di rifare il guardaroba?
Polèsse… Però oggi sono solo. Margherita è in sede a combattere corpo a corpo con un'orda di mail arretrate, contro burocrazie cubitali e, come se non bastasse, c'ha pure un incontro alle scolemedie. E allora oggi inforco la mia bici retrò, uscita di
fresco dal biciclettaio e m’avventuro per le vie del borgo. Solicino, brezza, cuffie e rock a squarciagola, questo martedì ho due animazioni in due scuole agli antipodi:
Isolotto vs San Salvi. Per fortuna ho anche un’ora di tempo tra l’una e l’altra
ed è per questo che decido di scatenare i polpacci sulla dura catena del
rapporto più piccolo. Quindici libri nello zaino mi fanno un baffo. Son uso al
mestiere io. M’hanno svezzato i giardinieri con i quali ho lavorato, a me. E
quando arrivo all’istituto Marco Polo son più carico di Ironman e più caldo
dell’Omofoco. Ho già quattro caffè in circolo nelle vene e sono appena le nove
di mattina. Prendo il quinto e m’avvio in classe. I ragazzi mica se l’aspettano
un’ora di libri a voce. I loro visi sono un misto tra: O-icchè-vole-questo e lo
Yuppi-si-salta-un’ora-d’italiano. Presento, gioco, racconto e leggo e l’ora
fugge a gambe levate accompagnata dal: Profeeee ma non può restare anche
all’ora dopo ci s’ha inglese?
No.
Ciao.
Rinserro i libri, agguanto il cappottone e sguiscio fulmineo
giù per le scale. Devo arrivare in tempo per il secondo incontro al Saffi
daquell’altrapartedellacittà.
E allora aggredisco Via san Bartolo a Cintoia come un’ogiva
e mi butto in Via Canova, entro in via Torcicoda mi precipito verso le Cascine,
sfreccio per la ciclabile del Lungarno dei Pioppi, m’inietto tra due tramvie
che s’incrociano sul ponte all’altezza di Paolo Uccello, sfrutto l’inerzia
della discesina e alimento la velocità con due dozzine di pedalate ben assestate.
Irrido il traffico ebete del Ponte alla Vittoria e son bell’al Lungarno
Corsini… L’ambasciata americana mi registrata come ovni mentre penno sulla
ciclabile transitata dai romantici che si scattano foto con sfondo arno
d’argento e chiesa del Cestello. Libero il capello dall’andino cappello che il
Ponte Vecchio è già alle mie spalle. Non vi racconto balle, la mia due ruote è un
dardo nell’atmosfera. Non perdo la cera e di lena ohibò ho già passato San
Niccolò, coi piedi ben saldi sui pedali. Alzo il busto e accolgo il vento
spettinante. E cosa più importante ho ancora una quarantina di minuti
abbondante per arrivare senza fiatone a destinazione. Rilasso i quadricipiti e
mi metto in modilatà Ah bella la mi Firenze. È tempo di sterzare a sinistra per
via del Campofiore. Calore uguale colore e gote a pomello arrivo sfidando il
traffico all’imbocco del cavalcavia Lungo l’Affrico. M’alzo sui pedali. Con un
carapace di libri non ho rivali. Scendo più lesto dei clacson invidiosi schiacciati
da esosi monoconduttori incazzati e, forte di laterali sentieri, imbocco senza
freno via Tito Speri. Ormai è fatta. Piazza San Salvi mi s’apre davanti… Pochi
istanti e con il cuore a riparo dall’infarto ho già bell’e che mangiato anche
via Andrea del Sarto. Il Saffi al cancello rallenta il mio moto. Scendo,
allucchetto, m’aggiusto e arrivo all’uscio. Ho ancora trenta minuti alla
campana d’inizio. La custode mi vede le lancio un indizio: Salve sono qui per
Libernauta. Prego s’accomodi. Bevo la mia acqua e mi beo dell’impresa. Ho solo
un pensiero… la sgorata di sudore che sento sulla schiena… Vabbuò suona la
campana esco dall’angolo saltellando e mi porto al centro del quadrato gonfio
di libri, sole e vento. Trattengo un sorriso a stento e riparto di slancio:
salve eccoci a libernauta…
Andrea Gasparri
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